INTRO
di Alessandro Coppola
Musica consigliata per la lettura: Dumb - Nirvana (YOUTUBE)
Sia ben chiaro: io nei barbieri non ci credevo, quasi li odiavo. Metto subito le cose in chiaro e mi prendo la responsabilità di quello che ho detto e creduto in passato. Io, 10 anni fa, nei barbieri non ci credevo.
Dieci anni fa mi è capitato di parlare con persone e l'argomento era il solito: parrucchieri, parrucchieri, capelli, parrucchieri. Non hai tanta possibilità quando ci sei in mezzo dall'età di 6 anni e poi finisci per lavorarci pure insieme.
Parrucchieri o barbieri? Parrucchieri! “Ma dai i capelli si tagliano allo stesso modo. E la barba? Ognuno se la faccia a casa propria con il rasoio monouso BIC! Che schifo è farsi fare la barba da questi quattro vecchiacci nelle loro botteghe puzzolenti?”.
No, dieci anni fa io nei barbieri non ci credevo. Quasi li odiavo.
I cambiamenti premiano chi sa accoglierli, ma prima ancora c'è qualcuno che fa partire la miccia, che farà accendere il fuoco, che farà scoppiare l'incendio.
Non conoscevo Peter Potolicchio.
Forse non lo conosco ancora, anche se abbiamo passato insieme giornate, serate, nottate parlando di barbieri, a guardarlo tagliare capelli, a scrivere pezzi di questo libro. Che poi io barbiere non sono. Io nei barbieri non ci credevo.
Se penso a Peter e sono sobrio, la prima immagine che mi viene in mente è: siamo a tavola, è casa mia, siamo allungati ognuno su due sedie, davanti abbiamo la mia collezione di rum, mio superalcolico preferito e benzina migliore quando devo scrivere; su tutti spicca un “Caroni 1994” (ultima botte, fuori produzione), di lato rispettosamente fanno l'occhiolino un “Diplomatico” e un mai abbastanza apprezzato “Zacapa 23”. Il rum è ottimo se devi scrivere e se qualcuno deve raccontare la sua storia: infatti funziona, Peter racconta, io scrivo, lui finisce steso sul divano di casa affilato dalle unghie dei gatti, io ho 12+1 capitoli di questo libro. Il mal di testa del giorno dopo è solo il segnale che abbiamo fatto un buon lavoro.
Ho una storia da raccontare, parla di un barbiere: c'è l'infanzia, il riscatto, la droga, il sesso, la trasgressione. Mi piacciono le storie, mi piace ascoltarle quando le racconta Federico Buffa a teatro, mi piace raccontare quelle che conosco, magari iper-colorate, ingigantite, mai falsate. In fondo è così che nascono le leggende.
Comincio a crederci un po' di più nei barbieri, ne ho uno davanti che dorme sul divano di casa, sfinito dai racconti e ubriaco per il rum. Questa storia del personaggio ribelle, di quello che rischia, butta il cuore sempre oltre, quello che gioca con le sue regole e mai quelle degli altri mi ha sempre affascinato. Il piccoletto che prende botte nella vita, incassa i colpi e vince. Non è un caso se uno dei miei personaggi preferiti di sempre è Allen Iverson, giocatore di pallacanestro di 1 metro e 80 che per 82 partite l'anno sfidava a viso aperto i bestioni di 2 metri e 10.
Finalmente ho trovato una storia interessante che parla di un barbiere e comincio a crederci: sto già dimenticando l'atmosfera piena di fumo della barberia dove mi portavano da piccolo, la puzza di vecchio e le copertine stropicciate di Novella 2000. Sto già dimenticando i tagli di merda che mi faceva e quella volta che volevo il codino come Roby Baggio e mio padre si incazzò, facendomelo tagliare. Forse per questo odiavo i barbieri.
I barbieri facevano schifo, non avevano nulla di interessante da raccontare.
Ho trovato una storia e un nuovo barbiere. Ha una storia da raccontare. Mi sono innamorato dei barbieri.